Quantcast
Channel: Il Referendum » Nadeesha Dilshani Uyangoda
Viewing all articles
Browse latest Browse all 7

Intervista a John Mpaliza, l’uomo che cammina per la pace

$
0
0

di Nadeesha Uyangoda

La sua ultima marcia prende il nome di “Reggio – Reggio”. Da Reggio Emilia a Reggio Calabria John Mpaliza cammina per chiedere la pace nella Repubblica Democratica del Congo e in Siria. Dal 2009 “Peace Walking Man” porta all’attenzione dell’opinione pubblica la guerra che da decenni lacera il Congo – e l’Africa – nel silenzio e nell’indifferenza del pubblico internazionale. 

John Mpaliza - https://www.facebook.com/john.mpaliza?fref=ts

John Mpaliza – https://www.facebook.com/john.mpaliza?fref=ts

Come è nata l’idea di viaggiare a piedi per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione in Congo? 

Viaggiare a piedi mi permette di venire a contatto con un pubblico molto più vasto e di sensibilizzare l’opinione pubblica, che è l’obiettivo che mi sono preposto; non riuscirei ad incontrare così tante persone, associazioni e assessori viaggiando in macchina o in aereo.

Io sono nato in Congo, ma ho lasciato il mio Paese per questioni politiche legate al dittatore Mobutu nel 1992, quando avevo appena 21 anni. Prima ho trascorso un anno in Algeria, dove ho studiato, e in seguito, sono partito per un viaggio in Europa, con un’ultima tappa a Roma, dove ho perso l’aereo che mi avrebbe dovuto riportare in Africa. Proprio in quei giorni c’è stato un attentato in Algeria, fatto che mi ha portato a prendere la decisione di restare in Italia, dove ho conseguito una laurea in informatica all’Università di Parma. Nel 2009, dopo tanti anni, sono ritornato a Kinshasa, e qui ho trovato uno scenario infernale: nonostante la presenza dei caschi blu e della missione Onu per la pace, in Congo la guerra non era mai finita, era in corso quella che si chiama guerra di bassa intensità.

Ritornato a Reggio Emilia dopo questa esperienza, ho scritto ed inviato a varie testate giornalistiche articoli che descrivevano la situazione congolese, ma non avendo la mia voce trovato ascolto, ho sentito la necessità di fare qualcosa in prima persona per portare l’attenzione su questo tema.

Parliamo delle marce che lei ha affrontato: da un punto di vista pratico sono servite a smuovere le istituzioni internazionali dallo stallo che si era venuto a creare intorno alla questione congolese?

Il primo viaggio che ho intrapreso è stato il Cammino di Santiago di Compostela, nell’estate del 2010, successivamente Reggio Emilia – Roma nel 2011 e infine Reggio Emilia – Bruxelles nel 2012. Sono stato anche a Strasburgo dove sono stato ricevuto da una delegazione di parlamentari, ma questo non ha portato comunque a nessun risvolto decisivo: l’Europa continua ad osservare in silenzio-assenso lo scenario congolese.

John Mpaliza Fonte: facebook

Sappiamo che gli scontri in Congo hanno coinvolto diversi Stati e diverse etnie: la guerra è stata provocata più da cause economiche, data la ricchezza di petrolio, minerali e diamanti della regione, o più da ragioni etniche, data l’arbitrarietà con cui sono stati suddivisi gli Stati dalla politica coloniale e post-coloniale?

La questione congolese non è etnica: se così fosse, la presenza di 450 etnie avrebbe portato alla nascita di tante piccole regioni autonome; questo peraltro era stato proposto dalla Francia come soluzione ai conflitti: smembrare lo Stato, balcanizzarlo. Le ragioni della guerra sono da ricercare negli interessi economici. Non è una lotta tra fazioni congolesi ma di una “guerra africana”, tanto che ad un certo punto sono arrivati a scontrarsi ben sette eserciti, coinvolgendo molti Stati tra cui Uganda, Ruanda, Angola. Si tratta di un problema economico.

Lei cita le multinazionali come protagoniste di questa guerra: ritiene che queste multinazionali usino la guerriglia come braccio armato per avere più facile accesso alle risorse economiche del Congo?

Fonte: facebookSe si parla di multinazionali bisogna per forza fare riferimento al coltan, un minerale usato negli apparecchi elettronici, di cui il Congo è ricchissimo. Se non ci fosse la guerra il coltan costerebbe uno sproposito: le multinazionali high-tech usano la destabilizzazione di questa regione a proprio favore, in modo da riuscire letteralmente a rubare il coltan. A trarre vantaggio da questa guerra economica sono sicuramente gli Stati occidentali, in particolare Stati Uniti e Gran Bretagna che, con l’aiuto dell’esercito ruandese, hanno sostenuto i regimi dittatoriali e corrotti. Si può dire che la situazione congolese rappresenti la frontiera di un nuovo tipo di colonialismo, quello dello sfruttamento economico.

Ritiene che sia possibile la pace in una regione in cui confluiscono così tanti interessi politici ed economici? E se pensa di sì, dovrebbero essere i congolesi stessi a cercare una pace interna, senza l’aiuto militare di altri Stati o degli aiuti internazionali?

Noi continuiamo ad avere speranza nelle organizzazioni internazionali, ma la mia speranza personale è che siano gli africani a cercare delle soluzioni interne al continente, prendendo coscienza del proprio potere e rendendosi conto delle enormi risorse economiche che le loro terre possiedono, riuscendo così a difenderne gli interessi, senza essere vittime delle multinazionali. Rimango fiducioso che nella zona dei grandi laghi sia possibile la pace, ma perché questo sia possibile è necessaria più giustizia.

L’Africa ha un enorme potenziale, deve solo imparare a sfruttarlo.

L'articolo Intervista a John Mpaliza, l’uomo che cammina per la pace è stato pubblicato su Il Referendum.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 7

Trending Articles