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Tra rapide primavere e lunghi inverni – il punto sulla questione mediorientale

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di Nadeesha Uyangoda

A che punto è la questione mediorientale? Una risposta può venirci dal festival di Internazionale che ha dedicato al tema un vero e proprio dibattito, “L’esplosione”.

Karl Sharro,  Stéphane Lacroix , Issandr el Amrani https://twitter.com/Internazfest/status/518017611003875328

Karl Sharro, Stéphane Lacroix , Issandr el Amrani
https://twitter.com/Internazfest/status/518017611003875328

Discussione aperta con ironia dal blogger – nonché architetto – angloiracheno Karl Sharro, che ha saputo descrivere la storia della Primavera Araba con uno sguardo retrospettivo, riassumendo perfettamente il paradosso che nascondono le rivoluzioni arabe cominciate con le rivolte tunisine del 2010 o – come afferma ironicamente lo stesso Sharro – «forse prima ancora con la Primavera di Beirut del 2005 o prima ancora con la caduta di Saddam Hussein nel 2003 o prima ancora con l’invenzione delle metafore politiche da parte di Thomas Friedman nel 1983».

Questo dimostra come la destabilizzazione politica dell’area sia iniziata molto prima: non solo è antecedente alla nascita dello Stato Islamico, ma anche allo scoppio delle rivoluzioni.

Secondo Stéphane Lacroix, professore di scienze politiche presso l’università Sciences Po di Parigi ed esperto di islam politico, gran parte della storia recente è riconducibile ad una guerra fredda, durata sino al 2003, tra Arabia Saudita e Iran per stabilire la propria influenza sugli altri stati della regione. Questa situazione di stallo sarebbe stata sconvolta con l’invasione dell’Iraq -e spiega il docente-  il ritiro delle truppe americane, dopo quasi nove anni di conflitto, ha lasciato un vuoto che è stato colmato dal settarismo e da quel mostro ben più grande che è l’ISIS.

Nello scenario post Primavera Araba, l’unico stato a costituire un’eccezione è la Tunisia, le cui elezioni politiche del prossimo novembre lasciano uno spiraglio di speranza per la pace. Gli altri protagonisti della primavera – Libia, Egitto, Siria – sono precipitati invece in un vortice di caos da cui sono emersi settarismi e fanatismi religiosi: una scena in cui domina soltanto una paralizzante incertezza.

Benché Obama, all’inizio del suo primo mandato, avesse assicurato che le truppe americane non sarebbero più tornate in Iraq, è chiaramente noto che oggi la situazione è ben diversa: a tal proposito, Issandr el Amrani, analista politico e blogger marocchino, sostiene che bisogna avere un approccio umanitario, più che militare, nei confronti del Medio Oriente. Non bisogna infatti dimenticarsi che questa zona sta facendo fronte a numerose problematiche, tra cui il ritorno della poliomelite, le condizioni disastrose in cui stanno vivendo i rifugiati, i minori che hanno saltato interi cicli scolastici.

Bombardando le zone sotto il controllo dell’ISIS, non si crea un’alternativa significativa: una volta terminata la guerra e sradicata la problematica dell’estremismo, verrà a crearsi nuovamente un vuoto, dovuto alla mancanza di un esecutivo forte che in Siria e in Iraq riesca a gestire le politiche di ricostruzione. In questo modo, come era già successo nel 2011 dopo il ritiro dell’esercito americano, ritorneranno a crescere i settarismi, nascerà un nuovo ISIS, con le stesse idee, le stesse politiche, ma solo con un nome differente.

L'articolo Tra rapide primavere e lunghi inverni – il punto sulla questione mediorientale è stato pubblicato su Il Referendum.


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